Ricette
romagna
Con il termine
cucina si intende quell'insieme
di pratiche e tradizioni legate
alla cottura, e più in generale
alla preparazione, di cibi e
bevande. Dette pratiche sono di
solito specifiche di una
determinata regione geografica,
in quanto influenzate dagli
ingredienti ivi disponibili, e
in alcuni casi anche da
particolari precetti religiosi.
Anche l'uso di determinati
attrezzi per consumare il cibo
influisce sulla cucina. Ad
esempio l'uso delle bacchette
(diffuso in estremo oriente),
costringe a sminuzzare il cibo
prima di servirlo in tavola.
Lo
sviluppo delle tecniche di
produzione, conservazione,
immagazzinamento e trasporto del
cibo, unito all'aumento degli
scambi interculturali (favoriti
dal turismo e dai flussi
migratori), ha portato, almeno
nei paesi più sviluppati, alla
diffusione di cucine
"etniche", a fianco
della cucina tradizionale del
paese specifico; nonché alla
continua ricerca di nuove
preparazioni e sperimentazioni
da parte dei più famosi chef.
La cucina ha, per tutti questi
motivi, anche una forte valenza
culturale ed è spesso associata
all'enologia e alla gastronomia.
La cucina italiana è molto
apprezzata del mondo per la sua
varietà e la qualità dei suoi
prodotti.
L’Emilia Romagna è una
regione caratterizzata da due
realtà profondamente diverse: l’Emilia
è padana con un paesaggio
pianeggiante, la Romagna è
terra più aspra; da una parte l’Appennino
e dall’altra il mare.
Nell’immaginario della
letteratura gastronomica la
regione appare come il paese
della cuccagna, il fantastico
regno dei piaceri abitato da
paciosi e gaudenti emiliani e
dai sanguigni e decisi
romagnoli. Una terra
contraddistinta da una naturale
disposizione al piacere e un’inclinazione
per voluttà del palato.
Fin dall’età rinascimentale e
barocca nella nostra penisola
dominavano due grandi scuole di
pensiero gastronomico: quella
romana della corte papale e
quella emiliana.
L’Emilia ha dato i natali ad
alcuni tra i più grandi cuochi
e scrittori di cucina di tutti i
tempi, nelle corti emiliane
servivano cuochi illustri.
E’ nata così una cucina
solida, ben condita, saporita e
generosa, una cucina che
favorisce la convivialità.
L’Emilia è terra agricola che
produce grano, frutta e ortaggi,
burro e latte, la Romagna è
anche mare che porta in tavola
grosse quantità di pesce, e poi
ci sono le Valli di Comacchio
una delle realtà lagunari più
affascinanti d’Italia dove l’ingrediente
principe è l’anguilla e il
suo profumo è indice di un
ambiente particolare e unico.
"Bologna è un gran
castellazzo dove si fanno
continue magnazze diceva un tale
che a quando a quando colà si
recava a banchettare con gli
amici" da "La scienza
in cucina e l’arte di mangiare
bene" di Pellegrino Artusi.
CUCINA EMILIANA
Come la maggior parte delle
regioni italiane, l'Emilia
possiede, piuttosto che una
cucina, una costellazione di
cucine, che, nella fattispecie,
è il risultato di quasi otto
secoli di autonomia delle città
emiliane, dall'età dei Comuni
all'Unità d'Italia, e del ruolo
di vere e proprie capitali
esercitato a lungo dai centri
maggiori.
Tra l'Emilia delle Legazioni e
quella dei Ducati, in
particolare, la divergenza dei
percorsi storici ha prodotto
conseguenze avvertibili anche in
campo alimentare e gastronomico.
Ma mentre tra la cucina
romagnola, inglobata per quasi
quattrocento anni nello Stato
della Chiesa, e quella
dell'Emilia i contrasti
prevalgono sulle affinità, le
cucine delle diverse città
emiliane compongono un quadro
che, pur molto variegato,
presenta tuttavia significativi
tratti comuni. Fanno in parte
eccezione Piacenza,
sensibilmente influenzata dalla
cucina lombarda, e Ferrara che,
per la sua posizione eccentrica,
ha sviluppato - e conservato -
tratti assolutamente peculiari.
Proprio perché governata da
potenti famiglie signorili,
presso le cui corti servivano i
cuochi più celebrati, l'Emilia
ha grandi tradizioni
gastronomiche. Per tutta l'età
rinascimentale e barocca
dominano due «scuole»
gastronomiche: quella romana
della corte papale e, per
l'appunto, quella emiliana. A
Ferrara operano Giovan Battista
Rossetti e Cristoforo
Messisbugo; a Parma, a quanto
sembra, serve Vincenzo Cervio; a
Bologna prestano la loro opera
Giulio Cesare Tirelli e
Bartolomeo Stefani. È
verosimilmente dalla tradizione
cinque-seicentesca che la cucina
emiliana eredita quei caratteri
di opulenza e prodigalità per
cui Bologna (e con lei l'intera
regione) è chiamata «la
Grassa».
La cucina emiliana - perlomeno
quella più nota - è
indubbiamente una cucina solida,
saporita e generosamente
condita. Meno ricca di piatti e
raffinata di altre cucine
regionali, deve la sua fama
proprio alla non dissimulata
prodigalità: fama acquistata in
anni in cui, per i più, la
qualità coincideva con la
quantità. «Cucina bolognese»
o «cucina emiliana»,
ricorrente richiamo di
ristoranti e trattorie sparsi in
tutta Italia, era a un dipresso
sinonimo di cucina abbondante e
sostanziosa. Da questo punto di
vista si può dire che la
rinomanza gastronomica
dell'Emilia, seppure non è
usurpata, va oltre i suoi reali
meriti.
CUCINA TIPICA EMILIANA
PRODOTTI TIPICI DELL'EMILIA
Per quanto riguarda la
gastronomia, la città mette a
disposizione dei visitatori una
vasta scelta di ristoranti
qualificati, che sono in grado
di soddisfare i palati più
fini, oppure di servire piatti
della cucina tipica castellana,
frutto di ricette tramandate nei
tempi. Uno dei piatti tipici
della cucina castellana è la
braciola di castrato,
accompagnata dai contorni di
verdure alla griglia e dai vini
delle colline che sovrastano la
città. Tra i primi piatti molti
ristoranti propongono ancora la
pasta fatta in casa, a mano, con
il mattarello; le tagliatelle, i
garganelli, i tortellini, i
tortelloni e le lasagne. Non
mancano poi i formaggi, tra i
quali spicca il tipico
"squacquerone",
formaggio fresco molto
gradevole, e il Castel San
Pietro, prodotto sempre con
latte di mucca, più stagionato
e pastoso. Tra i dolci vanno
segnalati i savoiardi, che
vengono preparati con una
ricetta tramandata nei secoli, i
certosini natalizi e i dolci
fatti in casa, tra cui la
gustosa crema e il budino fior
di latte preparati con uova
fresche di contadino. Infine un
altro elemento tipico di Castel
San Pietro Terme è il miele,
che viene prodotto da alcune
aziende locali una delle quali,
in particolare, affonda le
proprie radici agli inizi del
secolo e costituisce da decenni
uno dei punti di riferimento per
l'apicoltura nazionale, con
esportazioni di api regine in
tutto il mondo e la preparazione
di ottimi prodotti cosmetici a
base di miele e prodotti
dell'alveare. Castel San Pietro
Terme è anche sede
dell'Osservatorio Nazionale per
la Produzione ed il mercato del
Miele, con rilevazioni mensili
dei prezzi e dell'andamento
delle produzioni sull'intero
territorio nazionale, punto di
riferimento per apicoltori, per
le associazioni di categoria e
per il Ministero competente.
L' Emilia Romagna è una delle
regioni più ricche di prodotti
gastronomici in Italia. Famose
sono le paste come, i
garganelli, i tortellini, le
lasagne al forno, i gnocchetti
di pane, latte e farina, i
passatelli romagnoli al brodo e
le tagliatelle al ragù. Altre
prelibatezza della Romagna sono
i salami di felino, prosciutti
di Parma, culatelli di zibello,
coppe piacentine, zampone,
salama al sugo e il busseto. Da
non dimenticare è il famoso
parmiggiano reggiano, famoso in
tutto il mondo.
La Zona dell'Appennino
Nella provincia di Parma verso
il passo della Cisa, limite fra
l'Appennino ligure e quello
tosco-emiliano, la zona è
abitata in piccoli centri
antichi sorti a fondovalle della
Val di Taro (come Compiano) o
della Val Baganza o, come
Berceto, fra la Val di Taro e la
Val Baganza. Il centro più
importante, Compiano, cinta da
mura e dominata da un massiccio
castello quadrato, - sorta sulla
strada carrozzabile del Passo
del Bocco - fu feudo della
famiglia Malaspina e nel XVII
secolo poté vantare una zecca.
Nel 1682 passò alla famiglia
Farnese. Signorie, sia quella
dei Malaspina che quella dei
Farnese, sotto le quali la
miseria di gran parte della
popolazione andò sempre più
accentuandosi, dando luogo - per
tutto l'Ottocento e nel
Novecento fino agli Anni
settanta/ottanta - al fenomeno
dell'emigrazione, soprattutto
oltre oceano.
Oggi la zona, grazie alle facili
comunicazioni, all'impulso
industriale della regione e al
turismo, gode di un buon livello
economico che non impedisce il
persistere di usi, costumi e
tradizioni anche nell'ambito
della cucina dove sopravvivono i
gustosi cibi poveri legati ai
frutti del bosco, a quelli
dell'orto e alla grande cura che
le donne di questa terra hanno
da sempre riservato alla
preparazione del cibo che
riveste - come antidoto alla
miseria - una certa aura di
socialità.
Fra i proventi del bosco
ricordiamo il fungo porcino che
però da sempre è innanzitutto
destinato alla
commercializzazione. Infatti ai
piedi del valico della Cisa ha
sede il più importante mercato
europeo del fungo porcino. Il
primo accenno si trova in un
passo della Historia di Borgo
Val di Taro redatta da Alberto
Clemente Cassio (1699-1760);
già alla fine dell'ottocento
nacquero aziende specializzate
per la commercializzazione e la
lavorazione di funghi tuttora in
attività.
L'amministrazione comunale
istituì fin dall'anno 1928 con
un apposito regolamento un
mercato compreso in due giorni
settimanali per la
contrattazione e la vendita del
prodotto, in modo particolare di
quello essiccato.
Sono denominati funghi di
Borgotaro i funghi freschi del
genere boletus, derivati da
crescita spontanea in boschi di
latifoglie e conifere. Viene
messo in commercio soltanto il
fungo perfettamente sano, con
gambo e cappella sodi,
sprovvisto di terriccio, foglie
e altri corpi estranei, senza
alterazioni dovute a larve di
insetti su una superficie
superiore al venti per cento,
con aspetto liscio e privo di
grinzosità dovute alla
disidratazione. La produzione
annua attualmente si aggira
sugli ottocento-mille quintali.
Il porcino di Borgotaro deve
avere colore dal bianco nocciola
al bruno rossiccio a seconda
delle varietà, odore e sapore
molto gradevoli, consistenza
soffice rispetto ad altri tipi
di porcini. La zona tipica di
raccolta comprende i comuni di
Borgotaro e Albereto (Parma) e
quello di Pontremoli (Massa
Carrara).
Gli abitanti della zona per il
proprio consumo usano gli scarti
che però sono ottimi e vengono
lavorati in modo eccezionale,
sia quando vengono seccati per
l'inverno, sia quando vengono
cucinati fritti o in
gustosissimi sughi che
condiscono tagliatelle e risotti
o sono di contorno alle
scaloppine. Ottimi anche i
funghi in tegame posto a cuocere
ancora oggi nel forno a legna
che sopravvive in molte case
della zona o nei famosi testi
(recipienti di ferro pesante con
coperchio a cupola che cuociono
sotto la cenere in appositi
forni costruiti fuori delle
abitazioni); una cottura antica
che conserva i sapori e che si
realizza con pochissimo
condimento grazie al recupero
all'interno del testo stesso del
vapore di cottura. I funghi
cotti al tegame vengono posti su
un fondo di fette di patate e
insaporiti con nepitella, aglio
e talvolta altre erbette
aromatiche.
Le patate hanno una duplice
funzione: da un lato aumentano
quantitativamente la
possibilità di porzioni di
questo cibo che gode sempre di
grande considerazione e quasi
sacralità, dall'altra di
rendere meno acuto il sapore del
fungo che talvolta è fin troppo
intenso.
È un piatto gustosissimo che in
autunno viene spesso offerto
soprattutto nelle case degli
abitanti stanziali che pure
ormai stanno cambiando la loro
fisionomia sociologica, visto
che in quasi tutte le famiglie
ci sono persone dedite alle
antiche attività, ma anche
persone che si recano nelle
vicine città per lavorare
nell'industria che ha introdotto
nel luogo la circolazione della
moneta, un tempo rarissima,
provento appunto della vendita
dei funghi e di qualche vitello.
In questa zona dell'Emilia la
piadina diventa «torta
d'erbi», piatto unico sempre
affidato per la cottura ai
testi: una pasta sottilissima
ripiena di erbe dell'orto e dei
prati lavorate con uova e
formaggio grattugiato.
Ricordiamo poi le infinite
utilizzazioni delle castagne e
della farina di castagne che
vanno dalla realizzazione delle
lasagne (per le quali però la
farina di castagne viene
mescolata a quella di frumento),
alla polenta, alle frittelle, al
castagnaccio. Oggi questi
prodotti hanno assunto un valore
antropologico-folclorico, un
tempo però per i lunghi mesi
invernali erano quasi l'unico
mezzo di sostentamento assieme
ai prodotti del latte che veniva
lavorato in casa e dava
formaggio, ricotta e qualche
panetto di burro.
Dal pollaio si ricavavano
soprattutto le uova (a parte
galline e galli vecchi) che
lavorate con latte e farina e
arricchite delle erbe selvatiche
e dell'orto consentivano - cotte
nei testi e pertanto senza
condimento - grandi tortini
molto saporiti e adatti a
sfamare molte bocche; oggi
questi tortini si possono
gustare solo nelle famiglie
perché - a differenza delle
torte d'erbe prodotte
artigianalmente - non vengono
commercializzati neanche nei
ristoranti.
Un piatto antico che ancora -
anche se sempre più raramente -
si può gustare nella zona e che
un tempo era riservato alle
grandi ricorrenze sono i
«Pisarei e fasò (= fagioli)»,
di cui forniamo un'antica
ricetta: «Mettete sul tavolo
quattro etti di farina e, nel
mezzo, due etti di pangrattato,
unite acqua calda e lavorate il
tutto fino a raggiungere un
impasto di giusta morbidezza.
Involtatelo in un tovagliolo
perché non asciughi e dopo un
po' di tempo fate con esso dei
bastoncini, di lunghezza e
grossezza simile ai grissini,
che si taglieranno a pezzetti di
un centimetro l'uno. Si
infarinano e si dà loro con il
pollice il "giro" fino
a raggiungere una forma concava,
poiché tale forma serve a
trattenere il sugo. Dopo averli
così preparati si distendono,
infarinati, su una tovaglia.
Questi sono i
"pisarei". Per il sugo
si fa un battuto di odori, si
uniscono due etti di carne di
maiale macinata, si fa rosolare
e si aggiunge mezzo chilo di
pomodori pelati. A parte vengono
cotti tre etti di fagioli
borlotti freschi oppure due etti
secchi e si aggiungono nel sugo
con un pochino della loro acqua.
Si mette al fuoco una pentola di
acqua con sale e appena bolle si
buttano i "pisarei".
Quando vengono a galla si
lasciano cuocere per altri
cinque minuti, si scolano, si
condiscono con il sugo preparato
e si servono caldi con tanto
parmigiano».
Cucina molto legata ai prodotti
della terra, quella di questa
zona dove anche oggi
difficilmente hanno accesso
prodotti nuovi, cibi che non si
riferiscono alle più antiche
tradizioni e produzioni: una
cucina che si differenzia da
quella di questa zona per la
"povertà" di
condimenti, perché la
gustosità proviene dai sapori
anziché dalla ricchezza degli
ingredienti.
Piacenza e il suo territorio
La città di Piacenza è la più
occidentale della regione Emilia
e sorge quasi all'estremità
dell'antica Via Romana che parte
dal mare e giunge fino al Po,
sulla riva destra del fiume.
Il suo territorio - che
amministrativamente corrisponde
alla sua provincia - confina con
la Lombardia a nord, con la
Liguria a sud-ovest, e con il
Piemonte per un breve tratto ad
ovest. È per due terzi
montagnoso e per un terzo
pianeggiante. Include quasi per
intero la valle del fiume
Trebbia e quella del torrente
Tidone e per intero le valli del
Nure e dell'Arda. La montagna è
discretamente popolata e
coltivata (cereali, viti,
patate) sui fondovalle, e ha
caratteristiche
agricolo-forestali sulle groppe.
La collina è densa di centri
anche in cima alle dorsali e
largamente coltivata a vigneto.
La pianura è fertilissima:
grandi prati consentono grossi
allevamenti di bestiame, su
grandi distese si coltivano
tutti i tipi di cereali, di
ortaggi e di pomodori. A queste
coltivazioni sono connesse
importanti industrie alimentari:
molini, latterie, formaggi,
conservifici e zuccherifici.
La cucina di questa terra è
certamente influenzata dalla
ricchezza dei prodotti agricoli,
dai prodotti forniti dai grandi
allevamenti di bestiame (carni,
salumi e latticini), ma anche
dalle tradizioni delle regioni
con cui confina e dalla sua
storia legata per un buon tratto
ai fasti dei Farnese. Il modo di
vivere la cucina nel Piacentino
è stato definito schietto e
gustoso: schietto perché le sue
preparazioni si distinguono per
essere genuine, gustoso perché
sanno conservare i sapori dei
suoi prodotti particolarmente
apprezzabili per la fertilità
del terreno e la laboriosità
imprenditoriale dei suoi
abitanti.
Una cucina, dunque, ricca e
varia che si articola - nella
zona prossima alla Liguria - in
cucina di pesce: ostriche e
tartufi, «moscardini ripieni
alla ligure», «zuppa di
datteri», «risotto con
scampi», «spigola al sale»
sono i piatti che più
frequentemente si possono
gustare, proposti con grande
accuratezza.
Ma per ragioni geografiche è
certamente la cucina di terra
quella più diffusa; e come in
ogni zona della regione Emilia
iniziamo dai tortelli che a
Piacenza e dintorni hanno il
cuore di ricotta ed erbette e
sono avvolti con pasta a forma
di farfalla. Se il ripieno è
arricchito con il prosciutto i
tortelli sono denominati «alla
Farnese», ma sono diffusi -
sempre assai gustosi - anche
tortelli con il ripieno di
ortiche che assumono un sapore
particolare reso prezioso
dall'abbondanza di formaggio
grattugiato. Gustosissima è
anche la «bomba di riso alla
piacentina»: un timballo di
riso molto saporito perché
arricchito di sugo di coniglio o
pollo o faraona e da pezzi
interi di questi animali.
Gli animali da cortile, infatti,
compaiono in molti piatti
preparati in vario modo,
ripieni, arrosto, in umido:
particolarmente gustosa
l'«anatra all'arancia» che
compare sulle tavole soprattutto
nei mesi invernali e la faraona
disossata e ripiena di carne di
maiale e vitello insaporita con
funghi e tartufi.
Non mancano - data la ricchezza
di bovini - i grandi arrosti e i
bolliti molto vari proposti con
salsa verde e verdure al vapore.
La caccia non può mancare ed è
accompagnata dalla polenta che
si realizza con una particolare
farina gialla di grana piuttosto
grossa e di aspetto consistente.
La ricchezza dei primi e dei
secondi pasti
non impedisce di gustare un
antipasto di salumi, sott'olii e
sottaceti; tipici di questa zona
sono la pancetta, la coppa e il
salame di pura carne suina.
La coppa è ottenuta dalla parte
muscolare superiore del collo
del maiale, in pratica i muscoli
cervicali perfettamente
disossati. La coppa viene salata
a secco con sale, spezie e aromi
naturali e insaccata in budello
naturale. Dopo un primo periodo
di asciugatura passa a
stagionare in ambienti freschi e
ventilati dove rimane per sei
mesi.
E non dobbiamo dimenticare i
formaggi di latte vaccino:
un'ampia gamma di proposte che
comprende sia i formaggi freschi
che quelli stagionati, anche se
questa zona non vanta proposte
tipiche in questo settore di
produzione.
Anche i dolci non presentano
proposte specifiche ma si
avvalgono per lo più delle
tradizioni delle zone confinanti
con budini, ciambelle variamente
arricchite e «zuppa inglese».
Particolarmente pregiati sono i
vini dei colli piacentini: fra i
rossi ricordiamo il Barbera, la
Bonarda, il Gutturnio e il Pinot
nero; fra i bianchi la Malvasia,
l'Ortugo, il Pinot grigio e il
Val Nure.
Reggio Emilia e il suo
territorio
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